A 1 km da Forno sorgono, imponenti e suggestivi, gli edifici della Filanda, sorprendente testimonianza di archeologia industriale. La vecchia fabbrica è situata in uno scenario di notevole bellezza: le acque che scaturiscono dalla sorgente del Frigido lambiscono le mura dell’opificio incorniciate dalle aspre pareti delle Alpi Apuane.
Costruita alla fine del secolo scorso, la fabbrica produceva filati di cotone utilizzando l’energia prodotta dalla grande sorgente e dava lavoro a centinaia di persone, la maggior parte delle quali erano donne, che usufruivano di strutture assistenziali molto avanzate per l’epoca. Dopo una fiorente attività produttiva, la Filanda fu incendiata nel 1944 dai nazisti. Restaurata negli anni ottanta, è oggi sede del Centro Visite del Parco delle Alpi Apuane ( tel. 0585/315300 ), dotato di un piccolo, ma moderno museo del territorio.

Nel 1889, l’ apertura di questo imponente stabilimento, destinato alla lavorazione del cotone, che avrebbe sfruttato l’abbondante e continuo approvvigionamento d’acqua necessario per le varie fasi di lavorazione. Pochi anni prima, nel 1881, era, infatti, stata rilasciata ai proprietari del cotonificio la concessione per la realizzazione del canale scaricatore (di circa 550 metri di lunghezza) della turbina per la derivazione dell’acqua dalla sorgente. La turbina era collocata in fondo a un pozzo in modo da poter utilizzare una maggiore potenza delle acque, che in quel punto compivano un salto di circa 64 metri. Nel 1893 la Società del Cotonificio Italiano al Forno era dotata di tre caldaie a vapore, di un motore di 500 cavalli di potenza e di un motore idraulico di 750 cavalli.

Lo stabilimento, realizzato su progetto dell’ingegner Frimi, era costituito dagli edifici del cotonificio e del magazzino, da un corpo di fabbrica per gli uffici, l’officina e la casa del direttore, e da un complesso di abitazioni per i dipendenti. Il cotonificio, costruito in muratura portante con solai in ferro e laterizio, era tripartito da colonne in ghisa; questa suddivisione era visibile anche all’esterno poiché i corpi laterali erano rialzati. La differente definizione architettonica dei vari piani denunciava, inoltre, la loro diversa destinazione d’uso: nei seminterrati avveniva il lavaggio e la battitura del cotone, nei locali del primo e secondo piano vi erano i telai Brother, di fabbricazione inglese, e nell’ultimo piano le attrezzature per lavorazioni particolari. La lavorazione del cotone seguiva un procedimento diviso in sei fasi (bagnatura, battitura, stiratura, cardatura, banchi intermedi e filatura).

Il cotonificio, colpito dalla crisi economica e industriale della fine degli anni Trenta del Novecento e penalizzato dalla chiusura della tramvia a vapore, diminuì progressivamente la produzione sino a cessarla all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Trasformato in magazzino della Marina Militare, il complesso fu depredato e danneggiato dall’esercito tedesco. Un recente progetto di restauro prevede il recupero del complesso, in particolare dell’edificio della filanda e dei reperti di macchinari e condutture idrauliche ancora oggi conservati.